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Stefano Bianchi – Stella

Allo zenit di ogni estate, in Giappone, si celebra la Tanabata Matsuri (tanabata significa “settima notte”), vale a dire la Festa delle Stelle Innamorate che sancisce il ricongiungimento di Orihime e Hikoboshi, le divinità che rappresentano le stelle Vega e Altair. Nella piccola baia di Hoshizuna, sull’Isola di Iriomote (la seconda per grandezza dell’Arcipelago di Okinawa) c’è invece una spiaggia dove i granelli di sabbia sono a forma di stella (Hoshizuna-no-Hama). Secondo la tradizione popolare, questo prodigio della natura sarebbe nato dall’incontro fra la Stella Polare e la Croce del Sud, agli antipodi del firmamento.

Nell’istante preciso in cui ho iniziato a interfacciarmi con le opere di Shinya Sakurai, classe 1981, nato a Hiroshima, di casa fra Tokyo e Torino, ho inevitabilmente ripensato a quel cielo stellato e a quelle stelle in riva al mare che avevano esercitato su di me, scoprendole in rete, non poche fascinazioni.

Laureato in Belle Arti all’Università di Osaka e studioso d’arte scenografica all’Accademia Albertina di Torino, Shinya lascia che a confluire nelle sue materiche, fluorescenti tecniche miste siano tanto l’Oriente quanto l’Occidente, auspicabilmente uniti nel nome della pace, dell’amore, della fratellanza. Procede per simboli, il pittore del Paese del Sol Levante, con la ferrea volontà di veicolarli in tutto il mondo intitolandoli Love and Peace, United Colors, Delicious Colors, Shower of Love. E dopo aver cosparso di “terrific colors” (nel senso di eccezionali) il fungo atomico che si tramuta in un cuore affinchè non debbano più ripetersi le apocalissi di Hiroshima e Nagasaki, nonché aver impresso a rilievo piccoli simbolici cuori e altrettanto piccole simboliche croci, a ritagliarsi lo spazio è una serie pressochè infinita di stelle, poste l’una accanto all’altra con militaresco rigore.

Citando la Pittura Analitica del “ripartire da zero”, è a questo punto che Shinya Sakurai sottrae anziché aggiungere, ampliando a dismisura lo sfondo monocromatico in chiave Neo Pop e concedendo il via libera a pennellate acide e fluorescenti. La forza gestuale/materica, il raggrumarsi del colore e il dripping, danno quindi corposità alle stelle ispirandosi all’Action Painting di Jackson Pollock e di Franz Kline (Occidente), ma ancor più padroneggiando le tecniche di quel Gruppo Gutai giapponese (Oriente) fondato nel 1954 da Jiro Yoshihara e gratificato da pittori-performer quali Shōzō Shimamoto e Kazuo Shiraga.

“E quindi uscimmo a riveder le stelle”, recita l’ultimo verso dell’Inferno dantesco. Non prima, però, di aver riconosciuto nel più profondo di queste empatiche pitture non solo le stelle Pop care a Mario Schifano, ma anche – e in modo particolare – il New Dada della bandiera a stelle e strisce dipinta da Jasper Johns.
Stefano Bianchi